Le poche foto che circolano di Phil Shöenfelt - cantautore inglese di Bradford vissuto per lungo tempo a New York, alla corte di Andy Warhol, autore di uno dei debutti a 33 giri più persuasivi (forse il più criminalmente ignorato) dell'appena trascorso 1990 sono assai simili fra loro. Tutte quante effigiano il Nostro immerso in un'ombra da cui solo il volto, sovente mezzo volto (e qualche volta le mani), emerge. L'espressione è triste, fra l'asorto e il catatonico, gli occhi non di rado celati da lenti da sole. Sono scatti che dicono molto della musica di Shöenfelt, che com'essi è già accaduto e tutto ciò che poteva andare male è andato male. E, probabilmente, domani andrà peggio. Un mondo abitato da amanti torturati, eroinomani, aspiranti suicidi e psicopatici, un universo en noir che ha fatto chiamare in causa, ai pochi che hanno scritto di quell'album bellissimo e terribile che è Backwoods Crucifixion, maestri del gotico americano quali Edgar Allan Poe e H.P. Lovecraft e moderni esploratori delle giungle del delitto e dell'umana miseria come Jim Thompson e James Ellroy. Giustamente.

Quanto ai punti di riferimento puramente musicali di Shöenfelt, si potrebbe andare avanti per qualche cartella dicendo che qui somiglia a... e lì a... mentre quell'altro frammento ricorda... e là sembra proprio... solo per poi concludere che il suo stile è un qualcosa di assolutamente unico e, appunto, suo. Ma bisogna pur darne un'idea al lettore che non ne ha avuto esperienza diretta e si dica allora che è fondamentalmente un crossover fra il Nick Cave più prossimo a Leonard Cohen e il Paul Roland più cupo, con non irrilevanti tracce subliminali di blues del Delta (del male di vivere di Robert Johnson) e di country (del male di vivere di Johnny Cash).

Naturalmente, essendo il Nostro di natali albionici, non poteva mancare un certo, perverso gusto pop ed ecco, allora, un brano come "Walkaway", che potrebbe essere un grande singolo dei Jesus And Mary Chain del periodo di mezzo, a cavallo fra il "Some Candy Talking EP" e Darklands. E come c'era da aspettarsi da uno che è stato parte del giro di Warhol, devozione ai Velvet Underground, che, intelligentemente, si esplicita non in copie fotostatiche i del modello bensì nel rielaborarne l'insegnamento. Se come autore di testi Phil Shöenfelt deve molto a Lou Reed, che fu colui che per primo portò sul palcoscenico del rock'n'roll la devianza metropolitana, pure come musicista gli rende omaggio, avendone compreso perfettamente la lezione di semplicita. Le otto ballate che compongono Backwoods Crucifixion a Shöenfelt hanno offerto validissima collabrorazione Phil Ames, dei Certain General, e l'ex-Fall Marcia Schofield - sono spoglie, essenziali, senza un orpello. Eseguite con chitarra (e qualche effetto adoprato con parsimonia), basso, tastiere (tanto suggestive quanto discrete) e una batteria elettronica usata con raro gusto. Siamo distanti dal frastuono dei terroristi sonici Khmer Rouge, di cui Shöenfelt fu il leader, ma questa musica, in fondo, non è meno terrorizzante. Ce lo disse, con agghiacciante concisione, T.S. Eliot: "This is the way the world ends / This is the way the world ends / This is the way the world ends / Not with a bang / But with a whisper"