menu html by Css3Menu.com

   





Phil Shöenfelt - Backwoods Crucifixion
Article in Sottoterra (I), by Michele Benetello, 12/2018
Io penso indefessamente a Voi, cari figlioli. Scavo, setaccio, mi incuneo in scaffali polverosi e bancarelle infangate e infingarde per estrarne rimasugli logorati dal tempo. Mi straccio le vesti (e i l portafoglio) per portar via i pezzi più nascosti e attaccati all'osso di quella vacca sacra chiamata rock and roll, 'che della polpa siam buoni tutti a sfamarci. E condivido, essendo i l fine ultimo di questo virus che ci ha colpito da bambini, dacché a tener per sé si muore aridi e con la forfora (i collezionisti hanno tutti la forfora, mai notato?). Ed è quindi con somma gioia e gaudium magnum che - sotto due dita di pulviscolo, ma mai dimenticato - ho avuto modo di rispolverare (in tutti i sensi) il ciclopico capolavoro di quel sant'uomo di Phil Shöenfelt. Uno che poco o nulla dirà ai meno avvezzi, avendo trafficato viuzze e sottoboschi assortiti, ma che - se Nick Cave si fosse mai reincarnato in un Leonard Cohen psichedelico spacciando eroina nei più sordidi vicoli della Cool Britannia - allora qualche chance l'avrebbe avuta, 'che di vita avventurosa il nostro è sempre stato fornito assai ed è pure stupefacente (doppio senso incluso) che sia ancora qui a raccontarcela.
 
Magari da quelle pagine di Junkie Love, romanzo magistralmente dato alle stampe e tradotto anche nelle nostre lande qualche anno fa dalla sempiterna Arcana. Libro d'aghi e formazione, in gran parte autobiografico, che racconta la sordida caduta di due tossici, uno dei quali non è difficile riconoscere tra le righe. Ma è altro ciò che ci interessa del Filippo, ed è quello che andremo a sviscerare da quell'osso di poc'anzi. Classe 1952, nato negli angusti rioni di Bradford, nord dell'Inghilterra più dickensiana, non si fa pregare due volte per cominciare una vita raminga e dissoluta; dapprima abbracciando in toto - e stringendo amicizie importanti - con la nascente scena punk londinese, poi transumando in quel di New York, dove fonda i Khmer Rouge (nome bellissimo, va da sé) con Barry Myers (di lì a poco DJ Scratchy, l'uomo ai piatti nei tour dei Clash) al basso, Marcia Schofield (futura Fall) alle tastiere e Paul Garisto alla batteria. Quest'ultimo sarà anche uomo di fiducia e manovalanza di lusso per Iggy Pop. Ryan Adams e Psychedelic Furs. Si sbattono per anni ma - oltre ad attestati trasversali di stima e un  management ad opera di Nat Finkelstein, leggendario fotografo collaboratore di Warhol - nemmeno l'ombra di un'incisione ufficiale. Tanto basta perché sul finir del 1984 il nostro torni disilluso in patria con rimasugli dei Khmer Rossi tra le dita, ostinandosi in un accanimento terapeutico che nemmeno su questa sponda atlantica sembra produrre frutti. Accanimento che trova pace esattamente due anni dopo, quando decide di sigillare per sempre l'avventura (ma un bel compendio di abbozzi lo si può trovare nel doppio New York-London 1981-86, uscito per Voiceprint nel 2004) e dedicarsi a composizioni in completa solitudine. E cosa c'è di meglio per assaporare davvero certo blues arterioso che spararselo accuratamente dentro il corpo? I risultati chimici cominciano a prendere forma sul finire del 1988 quando debutta a suo nome con Charlotte's Room, singoletto timido e dalla nulla visibilità. Esce su Cog Sinister, etichetta del falloso Mark E. Smith, talmente entusiasta da accreditarsi come produttore. Si capisce da subito che la stoffa si è affinata assai, che la scrittura erutta emozioni, che i numi tutelari del nostro cominciano a venire trasversalmente a galla in un sulfureo armeggiar di blues e in un maelstrom di oscuro cantautorato. Charlotte's Room è un brano equidistante dell'indie pop dell'epoca come dal Julian Cope più lisergico, ma con un retrogusto malfamato e una supervoce (in bella presenza nel missaggio) Coheniana. Spettacolo che passa virtualmente sotto silenzio ma imbocca la strada del 33 giri.
 
Backwoods Crucifixion arriva all'inizio degli anni novanta ed è l'antitesi netta e sabbatica a Screamadelica. Non vi son più Garisto e Myers (sostituiti dal carneade Phil Ames) eppure gli otto stupefacenti brani sono un'incursione armata nei campi (di cotone, ma anche in quelli che ornano le periferie desolate) del blues. È Nick Cave che sputa su tutti gli Spotify ed equivalenti del mondo; perché questo è un disco che va posseduto fisicamente, come lui riesce a possedere voi, in maniera ancestrale e dolorosa.
 
Un blues che si toglie il mascara wave pur avendo progenie anche dalle parti meno invasive dei Sisters Of Mercy come di Paul Roland, di Hugo Race come dei Beasts Of Bourbon. Otto semplici brani che raccontano la caduta di un uomo negli abissi della disperazione, con una strumentazione ridotto all'osso, un Chelsea Hotel in mente e una cristallina sei corde a lisciare le rughe umide di Leonard Cohen mentre del whisky dozzinale cauterizza le ferite.
 
Si diceva di Cave. L'astuto lungo crinito si accorge subito della potenza di quelle canzoni, vorrebbe averle scritte lui, dice. Si accontenterà di portarsi in tour Shoenfelt, lanciandolo in pasto ad una platea incapace di amarlo e venirne corrisposta. Backwoods Crucifixion non ha nulla della sacralità spinosa dell'ex Birthday Party, poco concede all'ascoltatore e - soprattutto - non avrà mai degno seguito, 'che le sorprese sono racchiuse nei lampi che troppo poco illuminano. Ma che sentiero di magnifica desolazione si porta appresso questo long playing. Sin dalla nerissima copertina, raffigurante uno scatto ravvicinato del nostro con gli occhiali scuri alla fratelli Reid. Sounds lo liquida subito come una corrida di morte, droga e Semi Cattivi dimenticando che è proprio questa la forza di un disco che guarda indietro senza vergogna -quasi unico tra i coevi - proiettandosi in un futuro misterioso. Riascoltato per l'ennesima volta non ha perso un grammo della forza scarificatrice. Ne parlerà, lo scapigliato autore, e proprio dalle colonne della rivista avrà a dire di un disco "basato sugli anni strazianti che ho passato a New York a contatto con gente - amici e amanti - che è andata in overdose. Questo disco è un' esorcismo a tutto ciò". Non risulta difficile crederlo tanto suona sinistro e malefico, quasi metallico nel porgersi. Marmoreo e metallico: Heavy Mental. Un percorso tortuoso fatto di pennate sghembe alla sei corde, di marcette funebri, Un disco per scarni disadattati del rock and roll (dico Nikki Sudden, che con il nostro condividerà Golden Vanity, disco bellissimo datato 2009), banchetti di pezzenti e adepti agli oppiacei. Si capisce subito l'andazzo con Garden Of Eden, che sigilla e vidima le intenzioni di un lavoro che - se solo avesse avuto una visibilità maggiore - marchieremmo come senza tempo invece di perderne assai a disquisire riguardo una sua presunta (con l'accento su 'unta') appartenenza a certo Gothic Rock. Se gotico è un termine che appartiene a Faulkner, Paul Roland, Edgar Allan Poe e Nico allora Garden Of Eden lo è. Ma ha in sovrappiù terre oscure (Darklands) e Golgota; crocifissioni al contrario mentre Gesù si immola trascinandosi appresso la Catena di Maria. E che dire di Marianne, l'm Falling, pece intrisa di lacrime, rosario coheniano e Via Crucis d'amorosi sensi? O ancora The Light That Surrounds You meraviglia fumante, Robert Johnson che gira ignaro per i vicoli di Londra in cerca di sesso e eroina, armonia che i Metallica furteranno assai per edificare Nothing Else Matters. E ancora Psyche e il suo arpeggio iniziale inebriante come un giardino profumato o, in alternativa, un passo dei Balaam & The Angel. Ma ha molto di più tra le cosce: la voce di Phil, per cominciare, e poi una persistenza aromatica che s'apre al pop adagiandosi dalle parti degli House Of Love più umbratili. E siamo solo a metà, che a girar lato (lo trovate in vinile a pochissimo, datevi da fare) si dispiegano altrettante meraviglie; a partire da Devil's Hole, country funereo che si srotola in solitaria malinconia, elegia funebre con il diavolo che non passa a riscuotere. Johnny Cash benedice e gli italianissimi Circo Fantasma andranno a riprendere nel loro Playing With The Ghost sotto la supervisione dell'autore.
 
Hateful Heart si inerpica in una batteria funeraria e accordi Stones sotto ketamina. E lo  stupore è grande nel constatare cosa - una sola anima - possa racchiudere, soprattutto in quella coda svisante dove certa chiesa barrettiana al trasfigurarsi folk s'accompagna.
Quasi sette minuti di illuminante catarsi prima di riaffacciarsi alla luce con Walkaway, il più bel pezzo dei Jesus And Mary Chain senza firma Jim & William in calce.
 
Proprio come miele. Nettare e Bruce. Nebraska e West Yorkshire. Ad accompagnarci alla chiusura arriva Salvation Hotel in forma di laica prece, ritratto dell'artista da irrequieto, bisogno di purezza e redenzione. Non serve molto per rendere appetitoso un album che gioca con le sottrazioni e la scheletricità di molta musica popolare, perché Backwoods Crucifixion è scarno come quelle schegge sacre della croce che si conficcano nelle carni, facendo sanguinare tenebre e salvezza. Si chiude così un album pressoché perfetto nel suo lento dispiegare, ma non avrà molta fortuna in quel periodo di transizione, la Paperhouse non ha braccia e muscoli possenti per appoggiarlo in una distribuzione degna di questo nome, il lavoro frena improvvisamente, inabissandosi dalle colonne di quel Sounds testé citato e dagli scaffali dei negozi. Da allora sarà un florilegio di uscite disseminate negli anni, taccuini nei quali il dolore del giovane Shoenfelt s'ergerà in tutta la sua purezza: da solo (God Is The Other Face Of The Devil, del 1993) o con i Southern Cross (Blue Highway; Dead Flowers For Alice; Ecstatic), banda di stanza a Praga dove il nostro risiede stabilmente ormai da qualche lustro. Tutte cose belle e con il fil rouge della decadenza armonica, eppure pochi oseranno prenderne materia e plasmarla, relegando Shöenfelt nell'affollato girone degli incompiuti. Ma di una cosa - una sola cosa - siate sicuri: dopo I' ascolto di questi otto brani la parola 'amore' vi si seccherà in bocca, ma il significato di Junkie Love vi sarà più chiaro.








Impressum | Datenschutz | Imprint | Data Privacy Policy